martedì 4 settembre 2012

Hemingway e la festa mobile




Hemingway è stato un grande scrittore (e vorace lettore). Grande nel senso di unico, inimitabile, anche se alcuni hanno provato ad emularlo. Unico perché viveva la scrittura come una disciplina e una missione insieme. Un’attività tagliata sulla vita stessa, a mo’ di abito, e da cui ogni tanto sentiva il bisogno di scappare per non pensare troppo alle storie che aveva in mente e che stavano nascendo tra i fogli confusi di un tavolo di un bar di Parigi. 

Là, nella ville lumière, negli anni Venti si è fatto le ossa. Non solo ha frequentato EzraPound, Gertrude Stein e F.S. Fitzgerald, ma ha trovato anche la sua voce letteraria. Una voce autentica, per niente arzigogolata. “Scrivi la cosa più vera che conosci” si raccomandava quando non trovava le parole e sostava un po’ davanti al fuoco rutilante del camino a spremere qualche buccia d’arancia, tanto per vedere crescere la vampata. 

Sapeva, infatti, che le parole sarebbero venute da sole, senza forzature, perché la scrittura gli era congeniale. “Hai scritto ieri e scriverai pure domani” insisteva se era con l’acqua alla gola davanti al foglio immacolato. 
E, comunque, non si risparmiava, mai. Si esercitava moltissimo e in “Festa mobile”, un libro uscito postumo e pubblicato da Mondadori, ci sono esempi su esempi di riscrittura. Né mancano le curiosità: Gertrude Stein era saccente e poco aperta al confronto, Scott Fitzgerald aveva sposato una pazza, gelosa della sua fama e della sua arte, mentre Pound (il caro Ezra) era un amico sincero e fidato. 

Una raccolta-diario che raccoglie lacerti di lettere, storie e riflessioni. Un testo “da retroscena” che svela quel genio che era Hemingway. 




lunedì 3 settembre 2012

domenica 2 settembre 2012

Kitchen



Nel flusso indefinito del tempo e degli stati d'animo, gran parte della storia è incisa nei sensi. E cose di nessuna importanza, insostituibili, ritornano così all'improvviso, in un caffè d'inverno (Kitchen, Banana Yoshimoto, Feltrinelli)

Non avevo mai letto Banana Yoshimoto. Non so di preciso perché, ma in genere tendo a rimandare le letture dai grandi numeri. Poi, un pomeriggio poco dopo Ferragosto, sono entrata in libreria. Non volevo spendere una cifra, e così ho scelto “Kitchen” che, per la precisione, raccoglie due racconti, “Kitchen” e “Moonlight Shadow” (tesi di laurea di Banana). Ebbene, li ho trovati bellissimi. Certo, un po’ malinconici, spesso tragici, ma pieni di carattere.
La Yoshimoto non scrive nulla di trascendentale. Non ci sono colpi di scena, non ci sono draghi,  coltellacci, assassini o teste mozzate. Racconta, in entrambi i lavori, due storie comuni. Storie di ragazzi, storie di un’altra cultura, storie reali, seppure  impalpabili per noi occidentali.
La voce narrante è femminile: una voce giovane, fresca, anche se già esperta dei peggiori dolori del mondo. L’amore, la vita, la morte sono anelli concentrici di una stessa catena. Questo in Oriente lo sanno persino i ragazzini, proprio come le donnine della Yoshimoto. Il linguaggio, semplice, evoca paesaggi lunari, di una luce serotina e opalescente, in cui sfumano i mille volti del Giappone. Il cicaleccio continuo, le foglie stormite dal vento, il gorgoglio del fiume sono i suoni naturali del libro. La natura, infatti, irrompe tra le righe, c’è e domina l’uomo che si abbandona alla contemplazione di un ciclo infinito ed ineluttabile. La lentezza e la semplicità sono la cornice di ogni gesto, di ogni sussurro nella notte. L’anima orientale rivive, giustamente, nella penna di una figlia di questa terra antica. Una penna che ha messo pace tra un’anima nascosta tra i boschi, ed un’altra moderna, spesso supersonica.  Banana ascolta, Banana fa poesia, Banana declina un modo di essere. 
Tu, intanto, senti solo un tintinnio. E l’anima trasale non appena sfogli l’ultima pagina.

Libro: Kitchen
Autrice: Banana Yoshimoto
Editore: Feltrinelli
Voto: 9
Consigliato dai 15 anni in su

sabato 1 settembre 2012

Riflessioni di un giorno che fu


31.08.2012



Stasera, davanti al baluginio del faro della porta d’Oriente, finisce la mia estate. Un’estate lunga una settimana, bella, che mi ha ubriacata di mare, di vento e di sole. L’odore di una terra che non deve cambiare è capace di spalancarti il cuore e inebriarti di vita, fino a tremare di gioia, tanto che vorresti naufragare qui. La luce intermittente illumina a tratti i tetti delle case bianche, le strade, gli scorci del centro storico e la spiaggia. Scrivo ora per la prima volta dopo sei giorni. Ora, che anche l’ultima cena è andata, e la luna rossa veglia sugli spiriti allegri e ancora ebbri.

giovedì 23 agosto 2012

Daisy e il Grande Gatsby

Così continuammo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato.
(Il grande Gatsby, F.S. Fitzgerald)


Daisy non è particolarmente brillante, ma è bella. Il viso opalescente sfuma nella cipria del collo e del décolleté generoso. Ha labbra cremesi e capelli corvini. Gatsby, l'uomo più famoso di New York e provincia, l'ha amata come si ama un cucciolo, una casa o un porto sicuro. La loro è stata una storia di pulsioni adolescenziali e belle speranze. Lei desiderava una vita coi fiocchi e coi lustrini, accanto ad un uomo benestante e sicuro di sé. Un giorno Gatsby parte soldato per la Guerra. Lei, ormai sola e un po' sconsolata, sposa senza esitazione Tom, un giovane promettente e ricco. Questi, però, la tradisce e continuerà a farlo per tutta la durata del loro matrimonio. Eppure, va bene così. Va bene se serve a condurre una vita agiata e rispettabile.
Intanto, finita la Guerra, Gatsby accumula una fortuna e compra una villa di fronte alla casa di Tom e Daisy. Gatsby organizza feste su feste, finché non trova il modo di rivedere Daisy. L'incontro non è esattamente da sogno, anche se la vecchia coppia non si tira indietro e si rigetta nella relazione. Inizia così un gioco senza esclusione di colpi per gente ricca e un tantino annoiata.
Fitzgarald, come al solito, si rivela un maestro nel descrivere la desolazione di certi stati d'animo e il peso dei compromessi.

Libro: Il Grande Gatsby
Autore: F.S. Fitzgerald
Traduttore: F. Pivano
Editore: Mondadori
Indice di gradimento del tutto personale: 9

domenica 19 agosto 2012

Tina



Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il nome tuo
noi che da ogni luogo delle acque e della terra
col tuo nome altri nomi taciamo e pronunciamo.
Perché il fuoco non muore.

(Pablo Neruda)

Quando Tina Modotti è morta in circostanze misteriose (forse avvelenata dagli stalinisti), Pablo Neruda le ha dedicato una poesia. Il fuoco è l’immagine pertinente, più vera per questa donna barricadiera, sospinta in giro per il mondo da un credo che si è poi rivelato un inganno. Un ideale sgretolato, con cui sono venuti giù le belle speranze, la passione politica ed artistica, persino il sorriso.  Pino Cacucci, scrittore e traduttore italiano, vissuto per anni in Messico, ha dedicato un saggio alla Modotti, intitolato semplicemente “Tina”. Il testo è completo di lacerti di lettere, poesie, scatti dell’epoca. I documenti ufficiali ricalcano la biografia particolare di una donna coraggiosa, che è stata prima di tutto una brava fotografa, poi una comunista militante. Secondo quanto leggiamo, Tina era una donna bellissima. Rotonda e appassionata, incuriosiva per la tragicità e la malinconia dell’espressione che, all’occorrenza, lasciavano spazio al trasporto. Ha amato ed è stata amata, fino alla disfatta del mondo in cui credeva. Ne esce protagonista e vittima questa Tina, esca viva della follia omicida di Stalin e dei suoi scagnozzi.  L’Urss, infatti, osteggiava qualsiasi organizzazione libera dal basso, in nome di un regime in cui Tina stentava a riconoscersi. Ma opporsi voleva dire morte certa, e quando lei ha osato allontanarsi, è morta senza un perché. Il merito di Cacucci è di restituire alla memoria storica collettiva un’oleografia screziata di rosso e di nero, spesso indecifrabile, ma impregnata di ragioni, di verità tuttora taciute, e che meriterebbero ben altra fama.

mercoledì 15 agosto 2012

Nelson e Simone


La storia tra Simone de Beauvoir e Nelson Algren è andata avanti per oltre dieci anni. Una storia come tante, ma chiacchierata negli anni perché coinvolge direttamente due grandi scrittori.
Qualche settimana fa ho beccato su una bancarella “Nelson e Simone” di Jean-Pierre Saccani, giornalista di “Le Figaro”. Per quello che costava ho pensato di comprarlo. Che cosa c’è di interessante in una storia d’amore? Senz’altro il sentimento, e poi, nella specie, i due protagonisti. La scrittura, l’applicazione, la voglia di lasciare una traccia di sé animano sia Simone che Nelson: lei non intende lasciare Parigi, lui non immagina la sua vita in nessun altro luogo se non a Chicago. Il giornalista ricostruisce quarant’anni di storia seguendo la pista delle lettere, dei documenti ufficiali. 

Un saggio frivolo per certi versi, ma che fotografa un’era, una gran bella era.

Qui una mia vecchia recensione al libro "Lo scrittore americano e la ragazza perbene" di F. Pivano.
Eh si, questa coppia mi ha sempre incuriosita.

venerdì 10 agosto 2012

A Simone

Le regalo questo libro
Perché possa andare
Dove lei andrà:
Nella bisbigliante luce serotina
Delle strade cariche di storia
Di una Francia tutta sua,
Simone, scrivo qui, questa poesia
Perché una parte di me sia con lei.

(Nelson Algren a Simone de Beauvoir, Nelson e Simone di Jean-Pierre Saccani)

mercoledì 8 agosto 2012

Inchiesta Chemio e cancro

Dopo le rivelazione choc di Nature, rivista scientifica, ho fatto un po' di ricerca per il Corriere Nazionale.
Qui la mia inchiesta

martedì 7 agosto 2012

L'amore nel bicchiere


Stavano camminando da ore, nonostante il freddo e un accenno di pioggia. Nascosti nei cappotti neri, passeggiavano mano nella mano. Ogni tanto Riccardo afferrava Licia per un braccio e le stampava un bacio sulle labbra, quasi avesse bisogno di un contatto costante. Il lungomare era zuppo d’acqua. Dal mare, ingrossato dal vento, si alzavano onde pazzesche. Qualche ora più tardi una signora improvvida, avvicinatasi al frangiflutti, ci avrebbe rimesso la vita. Il mare ruggiva. A loro piaceva quella mistura di salsedine e polvere. Odore di tempesta, di umori configgenti, di fuga. Infreddoliti, decisero di infilarsi nei vicoletti del centro storico: un dedalo di viuzze impossibile da mappare e da memorizzare. Là dentro, ogni volta, scoprivano un locale o un bar diverso e il fatto li divertiva un bel po’. 
Si erano conosciuti qualche mese prima. Avevano preso a frequentarsi ogni giorno per due settimane, finché lui non la baciò, mischiando in una mossa gli addendi di quella relazione anonima.
-Ti devo parlare assolutamente di un fatto-le disse in uno di quei pomeriggi trascorsi a cincischiare in macchina, in giro.
-Di che si tratta?-indagò lei.
Niente. Alla fine non doveva dirle proprio un bel niente, se non che gli piaceva quel viso, che gli piacevano quegli occhi che sentiva già di amare.  Ma come si fa a condividerle certe cose? Non aveva altra scelta che farsi coraggio e provarci. 
Ora stavano cercando un baretto, un posticino con le luci soffuse e un po’ di rock anni Settanta, quasi soffrissero di una dipendenza da una certa musica. Nel locale dove entrarono il bancone degli alcolici era la vera pubblicità del posto. Lo si notava non appena sull’ingresso.Era tipo american bar con un che di retrò. Là dietro una mora sui quaranta versava cognac e rhum cubano invecchiato. Porgeva i liquori neanche fosse un concentrato prezioso. Era chiaro che per lei dare da bere ai clienti, consigliarli, era un atto mistico, contemplativo. Iniziava ad un vezzo da intenditori e ne andava fiera.
Un rhum per Riccardo, uno Cherry per Licia. Stavano soli là dentro. La pioggia, il vento, quell’atmosfera burrascosa doveva aver scoraggiato non poco gli avventori abituali. Sedevano uno di fronte all’altra e ridevano, in continuazione. Cosa avessero da ridere lo sapevano solo loro, ma era evidente che condividevano un segreto.



mercoledì 1 agosto 2012

Invito su Libreramente

Non so quante lettrici ci sono tra di voi. Se vi piacciono le storie al femminile, quelle struggenti ma non banali, quelle che declinano l'esperienza, il vissuto per poi condividerlo, vi consiglio un giretto su Libreramente, il blog che ho creato apposta per raccogliere tutto questo.
Ci sono recensioni, interviste e pure racconti della sottoscritta, anche se posso e devo migliorare.
Che dirvi? Spero possa interessarvi.
Magari fatemelo sapere, mi fa piacere.

lunedì 30 luglio 2012

Il mio racconto minimal su "Il mondo di Suk"

Un racconto flash, istantaneo.
Qui su "Il mondo di Suk"
Che ne pensate?

Divagazioni


I ricordi sfumano nei desideri inespressi di sempre.
Gli anni corrono uno dietro l’altro, come se non ci fosse tutto quel tempo a dividerli.
Quasi fossero soggetti di uno stesso quadro.
A ben guardare, pare che la vita l’abbia bevuta in un bicchiere.
Sempre assetata, sempre implacabile.
Nessuna di quelle stanze è chiusa a chiave
nessun sentiero è vietato alla memoria
già malinconica.
Certe presenze, poi, mi fanno ancora compagnia,
neanche fossero incontri di ieri mattina.

domenica 29 luglio 2012

La ballata dei precari

La mia recensione a "La ballata dei precari" di Silvia Lombardo.
Un libro ironico e amaro, che ci induce a ridere per non piangere.
Buona lettura!